Dopo il primo weekend romano, The Aliens di Annie Baker regia di Silvio Peroni, si appresta a tornare in scena sempre al Teatro Brancaccino dal 9 al 12 novembre.
Uno spettacolo delicato che parla di musica, di amicizia, di arte, di amore e di morte.
Attraverso piccoli dettagli scopriamo l’amicizia di due trentenni “scansafatiche” KJ e Jasper, a cui si aggiunge Evan, un giovane timido, fuori dal mondo e un po’ naif, a cui i due decidono di insegnargli tutto sulla vita ma dalla loro prospettiva…
Si dispiega davanti allo spettatore un piccolo microcosmo in cui i tre ragazzi “agiscono la vita” coi i suoi ritmi naturali, con lunghe pause e silenzi… mai vuoti ma carichi di significato, complicità, sintonia e amicizia profonda che spesso non ha bisogno di parole.
La regia di Silvio Peroni punta prevalentemente sull’elemento drammaturgico in sé. Il lavoro è incentrato sugli attori, sulla capacità di raccontare e sulle relazioni che si dovrebbero stabilire fra autore, attore e spettatore; ponendo, quindi, l’accento sul messaggio del testo e sulle immagini emotive che le parole ricreano.
La funzione del regista è quella di fare emergere questi messaggi scoprendo le naturali spinte vitali che ogni personaggio mette in gioco nell’opera teatrale. Per fare questo bisogna partire dall’osservazione del quotidiano cercando di capirne i modi, i mezzi e i bisogni comunicativi; ogni essere umano, così come ogni personaggio, ha in sé dei conflitti che si esprimono attraverso la relazione con gli altri personaggi, ha in sé desideri, ambizioni, modi di pensare e modi di esprimersi, una necessità comunicativa e una propria funzione nei rapporti intrapersonali. Solo attraverso un’attenta e asservita lettura del testo da parte del regista l’attore può identificarsi e comprendere il personaggio per essere, poi, un efficace trait d’union fra testo e spettatore.
Di seguito riportiamo una breve intervista a Silvio Peroni realizzata da Andrea Simone per teatro.online in occasione del debutto milanese della scorsa stagione
“La trama dello spettacolo è molto interessante. A predominare è l’ironia o l’amarezza?”
“A predominare è la poesia, ma in realtà anche l’ironia e l’amarezza. L’autrice riesce a cogliere la poesia di una stasi quotidiana. Ci sono anche momenti di grande umorismo, empatia ed amicizia fra i personaggi. Grazie a questo aspetto, lo spettacolo diventa un racconto archetipico della vita stessa, che grazie alla penna di Annie Baker tocca vette poetiche di un’altezza strabiliante”.
“Infatti in questo spettacolo convivono perfettamente amicizia, arte, amore e morte. Come si equilibrano tra loro questi quattro elementi?”
“Si riconduce tutto alla vita, che ha sempre bisogno di cercare delle risposte. Ogni essere umano ne va alla ricerca. Nello spettacolo c’è chi le cerca in Charles Bukowski, un altro nella musica, un altro nell’amicizia, un altro ancora nel momento di passaggio rappresentato da una crescita personale. C’è infatti un ragazzo di 17 anni che vive la tipica fase di transizione post-adolescenziale caratterizzata dalle prime scoperte sessuali”.
“Che tipo di educazione sentimentale e culturale hanno i personaggi?”
“Il problema è proprio questo: non ne hanno ricevuta una. Nessuno dei tre è mai stato educato alla vita, che per loro è una scoperta quasi quotidiana”.
“Pensi che i sogni dei protagonisti possano ricalcare quelli di tanti trentenni?”
“Penso di sì. Loro non hanno dei sogni, bensì delle ambizioni che sotto un certo punto di vista sono andate in frantumi. Per esempio, avevano fondato una band e non sono mai riusciti a mettersi d’accordo nemmeno sul nome. Come ci racconta l’autrice, le loro aspirazioni non si sono mai realizzate perché si sono scontrate con la realtà o con l’apatia che caratterizza quasi tutte le loro giornate”.