In scena fino al 2 dicembre al Teatro Manzoni di Milano.
Con un testo dalla scrittura limpida e dalla drammaturgia tagliente e immediata, Massini lancia interessanti spunti di riflessione. Diventa difficile segnare il confine tra verità e finzione, follia e sanità, realtà e sogno. Un magnetico e intenso Alessandro Preziosi restituisce il tormento del protagonista con una potente immediatezza espressiva. Il pubblico resta con il fiato sospeso di fronte a una recitazione sopra le righe.
Impossibile non immedesimarsi nella disperazione di un uomo creativo e geniale che fa riflettere sul ruolo dell’arte. Chiuso nel suo castello bianco, Van Gogh resta in bilico tra il reale e il suo esatto opposto. Un’evoluzione lucida in cui l’artista compie lo straziante sforzo di liberarsi da un bianco che acquista un odore assordante. La visione dell’assurdo si rispecchia nei sensi: il colore si può odorare e ascoltare.
La tensione narrativa della scrittura netta e coinvolgente di Stefano Massini. L’immedesimazione di Alessandro Preziosi in un’angoscia che mantiene sempre il senso della misura. Un Van Gogh soffocato da un bianco anonimo e mortale. Un unico complesso disegno in una pièce teatrale che diventa la metafora fra l’arte e il potere, fra l’artista e la società.
Giulia Rovai (www.giltmagazine.it)
Il testo di non facile rappresentazione ci riporta a quello che poteva essere l’approccio nell’800 verso persone mentalmente instabili, a quelli che potevano essere i pregiudizi verso le persone originali, fuori dagli schemi come gli artisti che sicuramente vivevano in maniera molto particolare e sopra le righe, alla paura per il diverso, paura dettata dall’ignoranza e dal moralismo. Lo spettacolo è un atto unico che tiene il pubblico con il fiato sospeso in attesa di una svolta positiva, di una salvezza che non arriverà anche se sul finale tutto il palco si illuminerà di giallo, il colore onnipresente nelle tele dell’artista, simbolo di luce, di calore umano restituendo all’artista il colore della vita. Lo spettacolo è appassionante e avvincente, carico di tensione emotiva grazie al buon cast di attori e al carisma di Alessandro Preziosi. Tanti e calorosi gli applausi del pubblico alla prima milanese.
Marina Salonia (www.teatromilano.sonda.life/)
Il testo vincitore del Premio Tondelli per la “scrittura limpida, tesa, di rara immediatezza drammatica, capace di restituire il tormento dei personaggi con feroce immediatezza espressiva” è ricco di spunti poetici, offrendo considerevoli opportunità di riflessione sul rapporto tra le arti e sul ruolo dell’artista nella società contemporanea.
La devastante neutralità del vuoto in cui è rinchiuso Van Gogh, ovvero il manicomio di Saint Paul, viene rappresentata da una scenografia completamente bianca. Ma è un bianco che parla con i suoi dettagli, come gli inconfondibili tratti del “Campo di grano con volo di corvi” che appaiono in bassorilievo sullo sfondo. E non è l’unico elemento su cui soffermare l’attenzione. Bellissimi i momenti con le ombre sulle pareti in cui sono le pareti stesse a diventare scena.
Il protagonista si muove sul palco per un’ora e mezza, tenendo il suo Vincent sempre su quel labile confine tra il senso del reale e il suo esatto opposto. Il pubblico si lascia trasportare nella mente dell’artista, cercando di cogliere il genio celato dalla sua follia. Non stacca gli occhi dal palcoscenico nemmeno per un istante. Preziosi non proviene certo dal teatro, ma in teatro ci sta tutto. Forse caratterizza fin troppo il suo personaggio, ma non è certo una critica, piuttosto una sottolineatura. Tant’è vero che stremato, dopo un’ora e mezza di intensa recitazione, si prende dal pubblico oltre cinque minuti di applausi.
Gabriele Ceresa (www.teatro.it)
Prova difficile e faticosa per l’intenso attore napoletano, che per tutta la durata della rappresentazione cerca di assumere una postura da “malato mentale in camicia di forza”, non certo semplice da mantenere. Colpisce come l’attore riesca ad immedesimarsi bene nella follia e soprattutto nella disperazione del pittore che vorrebbe a tutti i costi uscire dal manicomio, dove gli è stato tolto tutto, persino la dignità. Ai tempi, prima dell’avvento della psicoanalisi, era uso immergere i malati in vasche piene d’acqua per ore, perché si pensava facesse bene ai nervi. L’unico contatto, con la vita reale, che resta al pittore, è Theo, l’amato fratello, a cui scrive numerosissime lettere e che per andarlo a trovare deve prendere quattro treni e un carretto. In questo frangente Theo è però solo un’allucinazione, Vincent sempre più abbandonato a sé stesso, fa un lungo e dolorosissimo discorso con il fratello che immagina nella sua stanza, dove lo supplica di applicare l’articolo del manicomio che permette ai famigliari più stretti di firmare l’uscita dei malati, assumendosene la responsabilità. L’idea principale dello spettacolo non è però quella di descrivere le tante contraddizioni, ancora esistenti, tra cura e follia, tra quella linea sottile che c’è tra i cosiddetti normali e quelli che tali non sono considerati. Il leit motiv è quello di capire come un pittore, un artista, un genio creativo, possa vivere in un mondo senza colore. Beffa della sorte: dall’unica piantina, forma di vita, di cui Van Gogh riesce a prendersi cura, sbocciano dei fiori anch’essi bianchi. Totale assenza di vita quindi per Van Gogh, che crea nel pittore: rabbia, frustrazione, paura, aggressività, allucinazioni, immensa sofferenza; tutte emozioni intensamente interpretate dall’attore che porta sul palco una performance lunga un’ora e mezza, senza interruzioni, quasi senza prendere fiato, in un crescendo di sentimenti che il pittore vive con grande forza. Ma tutto non è perduto, e forse una via di uscita c’è: nella riscoperta di un briciolo di umanità che sembrava non esistere e che riesce a colorare nuovamente la stanza, ma questa volta di un’altra tonalità, simbolo di vita e rinascita.
Lucilla Continenza (www.periodicodaily.com)