Moby Dick, uno dei più intramontabili capolavori della letteratura americana e mondiale, è la storia dell’irriducibile capitano Achab, impegnato nella fatale caccia alla balena bianca, che ha affascinato generazioni di lettori, e continua a farlo ancora nonostante la veneranda età. Scritto nel 1851 e pubblicato in Italia per la prima volta nel 1932, grazie alla stupenda traduzione di Cesare Pavese, il libro di Melville è uno di quei titoli che difficilmente non lascia il segno. Si tratta infatti non di certo solo di una cronaca enciclopedica della quotidianità delle baleniere, ma soprattutto un racconto dell’epica e infinita lotta dell’uomo contro i suoi mostri.
L’oceano, con la sua forza oscura e immensa, è il campo di battaglia, mentre la potente balena bianca è l’ancestrale nemico da sconfiggere, simbolo di tutte le paure, le angosce e le ossessioni capaci di abbattere lo spirito.
Ma se Moby Dick rischia di sembrare ad una prima scorsa un libro cupo e disperato, l’obiettivo del recital è un percorso da fare con lo spettatore alla ricerca invece di messaggio di speranza.
L’adattamento è così tutto rivolto a riscoprire quella vena aurea, luminosa che scorre nel sottosuolo della magistrale opera di Melville e che caratterizza buona parte della letteratura moderna: la vena di quei profeti che prima e meglio di tutti hanno intravisto un barlume di Vero nelle profondità dell’uomo e del suo Mistero sulla Terra. Herman Melville è stato un profeta, e Moby Dick rappresenta il suo maggiore testamento un racconto “nel quale altri racconti confluiscono come correnti nell’oceano”.
La lettura di Alessandro Preziosi accompagnato dal live electronics di Paky De Maio ha l’intento di far comprendere appieno la pendolarità della condizione umana, nel descrivere in modo incomparabile l’eterno rimpianto e allo stesso tempo l’incurabile struggimento che ognuno di noi spinge sempre avanti, sempre altrove.
La primavera esistenziale che nel quotidiano sfugge di continuo, i rari, preziosi momenti in cui possediamo una visione, la lotta strenua per conservarne il ricordo nella spasmodica ricerca del porto dove il Male finalmente ci darà tregua.
Il romanzo di Melville è incentrato manicheisticamente sulla “lotta senza fine tra bene e male”, e Moby Dick incarna inequivocabilmente quest’ ultimo anzi per Cesare Pavese è “la quintessenza misteriosa dell’ orrore e del male dell’ universo”.
La Balena Bianca è il Male Assoluto, e nel nostro mondo sembra invincibile; ma alla fine non vinta, non vince, riuscendo a far strage dell’intero equipaggio, ma risparmiando al potere della narrazione il vero protagonista, l’io narrante dal biblico nome di Ismaele.
Il recital tenderà a mettere in luce quello che lo stesso Melville sembrava suggerire, disseminato nella narrazione, quasi inconsciamente, quasi nonostante sé stesso, che sussiste un’altra dimensione delle cose, una dimensione di cui Moby Dick è la parte malvagia, ma non invincibile, una dimensione che ci spinge a lottare e ad andare avanti anche quando ogni senso sembra smarrito, ogni sforzo pare senza esito.
Se l’opera d’ arte è sempre irriducibile a un significato univoco Fernanda Pivano confessa lo stallo di Moby Dick: “nessuno è riuscito a dare un’ interpretazione del simbolo contenuto in questa tragica storia”. L’avventura è nella natura umana. È un desiderio: il bisogno di partire, di cercare, di andare “oltre” per poi tornare e raccontare. E a partire dai miti della storia antica fino all’epoca moderna, l’avventura è sempre stata una fonte inesauribile per la narrativa.
Alessandro Preziosi, al fianco di Achab, accompagna lo spettatore in questo viaggio fino agli abissi dell’animo umano, aiutandolo a decifrare il labirinto di avventure, simboli e filosofie che ne hanno fatto un moderno mito.
Allora alla fine di questo viaggio potremo dire con Enzo Paci: “La balena non è la fatalità del male, ma la possibilità del bene, la possibilità di trasformare il negativo in positivo”.