Il corpo giusto può essere inteso come una riflessione sulle aspettative di una società che è sempre più vicina alle profezie di Guy Debord ne La società dello spettacolo, ed è anzi andata ben oltre.
Il corpo femminile deve essere perfetto, deve rispondere a un’inesauribile ambizione di forma, bellezza, erotismo: ecco allora i botox party, dove i chirurghi plastici iniettano la giovinezza tra un piatto di caviale e uno di ostriche, ecco gli ossessivi riferimenti sessuali degli spot pubblicitari, in cui la reificazione della donna diventa uno strumento di seduzione del mercato.
Deborah Tannen, linguista e autrice del celebre Ma perché non mi capisci? sosteneva che il maschio, non essendo atto alla procreazione, necessita di affermare se stesso attraverso la ricerca di uno status sociale: auto enormi come esorcismi di una innata impotenza, soldi, potere.
Valerie Solanas, nota per essere stata l’attentatrice di Andy Warhol, auspicava, nel suo Scum Manifesto del sessantotto, un mondo senza uomini in reazione a un mondo di uomini violenti.
Eve Ensler sceglie invece l’ironia. E raccoglie, declinandole nelle tinte di un grottesco rabelaisiano, le voci di quelle donne che, schiacciate dalla pressione sociale o dall’ansia di perfezione, sono in cerca di un nuovo spazio, di una nuova consapevolezza, per se stesse e per la propria carne: dalla stessa autrice/personaggio che accompagna in prima persona il fluire del testo, fino alle donne dal volto negato dal regime Taliban, nascoste al buio di una cantina per consumare un gelato proibito, o alla modella ossessionata dalla propria immagine al punto da sposare un chirurgo plastico e fungere da cavia per i suoi esperimenti di eterno remake, o alla ragazza portoricana ossessionata dalla sua taglia forte.
Ne esce fuori una saggezza esilarante, una galleria di ritratti di donne moderne, un caleidoscopio di situazioni grottesche in cui l’autrice non risparmia se stessa e le sue eroine da feroci autocritiche.
E poi ci sono io. Un uomo. Un regista. Mettere in scena un testo con un’anima femminile così intensa è un confronto stimolante e minaccioso. Di fronte alla paura di non essere “giusto” ho scelto di sentirmi libero.
Pochissimi dialoghi, nessuna didascalia. Tutta l’azione è lasciata alla recitazione/racconto, da literary drama, dove è la stessa espressività delle attrici a suggerire una scrittura scenica, o meglio una partitura a schema libero, con una serie di luoghi deputati dove svolgere le azioni.
Una scena semplice, ideata da Giulio Villaggio, illuminata da luci taglienti e scolpite. Pochi elementi lasciati lì a ricreare spaccati minimali di vita. Una colonna sonora che va dall’elettronica minimale di Emptyset al NU Jazz di Taxi Wars, per finire alle note post-neoclassiche di Johann Johannson e Max Richter.
E infine, La ricerca iconografica di Irene Alison per le proiezioni, punta a evidenziare il ruolo fondamentale giocato dai magazine femminili e dalla pubblicità, fin dagli anni ’50, nel plasmare l’immaginario delle donne e nell’orientarne e definirne l’identità e le aspettative anche in relazione al proprio corpo.
“Abbiate il coraggio di AMARE IL VOSTRO CORPO, SMETTETE DI AGGIUSTARLO. Non è mai stato rotto.”
Eve Ensler
Marcello Cotugno