Lavorare sulla vita (e sulla disabilità) di Beethoven oltre ché sulla sua musica, è uno di quei grandi privilegi che però non risulta affatto scontato riuscire a concedersi. Alla fine, come se cercassimo di indagare la vita di un qualsiasi individuo, vale la riflessione di Evtušenko nella sua poesia “Uomini”: “Ognuno ha un mondo misterioso, tutto suo.” Sembra un concetto lapalissiano, ma proprio qui accade qualcosa di misterioso per tutti noi; una sorta di meccanismo di rimozione automatico. Siamo grati a Beethoven per averci lasciato tutta la sua produzione, la sua impronta sulla storia della musica e dell’arte nei secoli a venire. Prendiamo, mettiamo da parte ma ci dimentichiamo totalmente della sua sordità; e dell’uomo che ha dovuto affrontarla, recitando la sua parte a volte bene a volte meno, in quel mondo di inizio 800 che egli ha abitato. La Musica, incarnata da un violoncello, dalla voce, dal suono di una bottiglia di vetro, diventa un approdo, un’immagine sicura alla quale tornare a guardare ogniqualvolta il ritratto dell’uomo ci lascia attoniti e increduli. E in questa sorta di distanza, di scarto che si crea, si può misurare lo sforzo umano dell’individuo, verso il superiore ideale artistico.
Luca Mascolo